Roberto Gelato: «Contro il Pavia un ricordo stupendo»
Roberto Gelato non è affatto cambiato rispetto a tanti anni fa, quando da bambino lo vedevo nella tribuna dello stadio Moccagatta: riavvolgendo il nastro dei ricordi, inevitabilmente ritorna in mente la sua figura un po’ esile, spesso avvolta in un cappotto particolarmente pesante (esibito non soltanto nella stagione più rigida), con il capo leggermente inclinato, un sorriso sempre accennato e lo sguardo intento a non esibire mai nessun segno di invadenza. Devo dire la verità: sono stato veramente molto contento di averlo potuto finalmente intervistare, poco prima che iniziasse la presentazione del volume Quando vinceva il Quadrilatero scritto da Luca Rolandi (il cui articolo è stata pubblicato nello scorso numero di Hurrà Grigi), presso la libreria Feltrinelli di Alessandria.
Innanzitutto come sta? Sono passati molti anni ma lei sempre uguale…
«Abbastanza bene, grazie.»
Tra l’altro, lei è anche è ‘famoso’ per indossare vestiti piuttosto pesanti anche d’estate… (L’intervista era stata fatta all’inizio di giugno, nell’unico periodo dell’estate appena trascorsa in cui il caldo si era fatto veramente sentire, ndr.). (Sorride, ndr.) «Sì, è vero, nonostante il mio cognome…»
Uno dei motivi per cui mi fa particolarmente piacere fare questa piacevole chiacchierata con lei è che ‘L’Orso grigio’, il giornale che veniva distribuito allo stadio tanti anni fa, è stato veramente l’antesignano di tutte le iniziative che sono nate successivamente….
«Sì, anche se sinceramente è stata un’idea non totalmente mia: fu proprio Mister Dino Ballacci, insieme a tuo papà e ad Antonio Colombo, a istituire questa novità che allora esisteva».
Quale fu dunque la grande novità rispetto ai quotidiani, settimanali e mensili allora già esistenti?
«I giocatori si impegnarono a scrivere loro stessi degli articoli, in cui non parlavano solo della loro carriera e delle loro speranze ed ambizioni professionali, ma anche della loro vita quotidiana fuori dal rettangolo di gioco. Certo, noi giornalisti, da parte nostra eravamo testardi, perché non sempre avevano voglia di scrivere: ma alla fine, sono sempre usciti degli articoli puliti, semplici ma essenziali, che facevano risaltare anche il lato umano di un giocatore di calcio».
Un’iniziativa decisamente innovativa e non solo per l’epoca…
«Certamente. Soprattutto allora, nessuno aveva pensato di fare una cosa del genere, nemmeno nelle altre società, a quanto mi risulta».
Quali sono stati gli ostacoli maggiori incontrati agli inizi di questa avventura?
«Beh, non è sempre stato semplice coinvolgere allo stesso modo tutti i giocatori, soprattutto dopo le fatiche di un allenamento o dopo un risultato negativo ottenuto la domenica precedente: l’idea di pensare di mettere giù qualcosa in un certo modo, parlando in prima persona, senza ricevere delle domande specifiche a cui dover semplicemente rispondere…»
Come sempre, in questi casi, la considerazione spontanea è che forse una volta era tutto più umano, semplice e immediato, senza l’ausilio dei vari media che se da un lato permettono di interagire a livello virtuale, dall’altro creano una distanza paradossalmente maggiore…
«Sono d’accordo, anche se forse in provincia c’è ancora oggi meno esasperazione rispetto alle grandi città: comunque non sarebbe male ritornare a determinati valori».
Questa sera si gioca Alessandria-Pavia: tra i tanti numeri de L’orso Grigio, quello fatto per la promozione del 1981, dopo la gara vinta per 1-0 contro la squadra lombarda con il gol di Pasquali realizzato all’89°, ricopre un posto particolare nel cuore di tanti tifosi…
«Sicuramente! Una promozione alla vigilia del campionato forse insperata e, anche per questo, ancora più emozionante e vissuta. Un momento bellissimo per la squadra, i tifosi, la società e, nel nostro piccolo, anche per noi de L’Orso Grigio».
A questo punto si inserisce anche Ugo Boccassi, anch’egli presente alla presentazione del libro di Luca Rolandi.
«Effettivamente, L’Orso Grigio è stata la prima ed ultima iniziativa di questo tipo e Roberto ne è stato il direttore responsabile. Dino Ballacci voleva impegnare i giocatori in modo serio, senza che andassero a giocare sempre a biliardo o avessero altre distrazioni e quindi inventò questo tipo di giornale in cui, caso unico nella storia del calcio, i giocatori facevano i giornalisti, offrendoci la visione dalla parte opposta, dall’interno del campo…»
Una sorta di applicazione del concetto di ‘ribalta e retroscena’, insomma, come avrebbe detto il sociologo Erving Goffman, quando ancora nessuno avrebbe nemmeno ipotizzato l’esistenza un giorno non troppo lontano dei vari vari sms, twitter, mail, facebook e ‘whatsapp’ (pare che si scriva proprio così)…