Hurrà Grigi

Quindicinale di calcio e non solo

il mio eterno viaggiare

libia 24-31.03.06 069Fin dalla mia più tenera età, possedevo un grande atlante geografico e  sfogliando le pagine, di quell’enorme libro illustrato, viaggiavo. Sorvolavo con l’immaginazione i territori del mondo, imparando a menadito oceani e montagne, stati e bandiere, capitali e città del nostro eterogeneo globo terrestre. Non fu un caso che il mio interesse per i luoghi del mondo si tramutasse, con l’età, in una vera e propria passione per il viaggio. Era una predisposizione che attendeva il momento giusto per concretizzarsi. Negli ultimi venti anni ho viaggiato molto, tutte le volte ne ho avuto l’occasione, sempre con le valigie in mano, da un aeroporto all’altro in luoghi dissimili e opposti. Ho coperto grandi distanze, inseguendo il mito di antiche e perdute civiltà da cui le più svariate culture si sono ispirate. Ho navigato fiumi dal forte richiamo spirituale, disceso le correnti per raggiungere villaggi  nel folto della foresta e ho racchiuso in uno sguardo d’insieme le città, lungo il loro scorrere. Ho sentito la sabbia del deserto nelle mie scarpe, udito gli uccelli annunciare il sorgere del sole nella savana. Ho sentito la carezza del mare caldo dei tropici  e avvolta in un chador ho varcato a piedi nudi le porte di una moschea. Ovunque mi sono sentita a casa, anche nelle situazioni più estreme ho sempre avuto la certezza di avere il mondo in tasca e nell’altra, l’equipaggiamento indispensabile: una buona guida, adattabilità, e autonomia. L’autonomia rende il viaggio autentico, come una sorta di lasciapassare per il mondo in cui sono io a decidere il percorso. Se svoltare strada all’approssimarsi di un cartello che si materializza all’improvviso o intrattenermi in un luogo che più di altri mi ha affascinato o raggiungere mete, per molti ritenute, mentalmente inaccessibili. Mete, luoghi il cui esistere pare rivelarsi solo a coloro che sanno cogliere l’essenza che da essi si propaga. Non ho mai pensato ai pericoli o ai rischi legati al viaggio, ma ho sempre intrapreso ogni mia avventura per il gusto di conoscere e sebbene l’esposizione a tali inconvenienti fosse tangibile, ho superato sempre con tolleranza le difficoltà, adattandomi ai luoghi per quello che sono senza pensare di poterli cambiare. Il viaggio mi ha permesso di guardare il mondo anche attraverso lo sguardo dei popoli e dall’ospitalità che nessun paese mi ha mai negato, mi sono accorta che la distanza è solo un dato geografico, del tutto ininfluente se lo scopo del viaggio diventa il dialogo e il rapporto con la gente e non solo un motivo per soddisfare gli occhi con spettacoli naturali, opere d’arte o musei. Sono stata faccia a faccia con i popoli più differenti e da quei contatti ho approfondito e compreso la loro identità che ha reso uniche le mie esperienze di viaggio. Da quella vicinanza con la gente, nelle inquadrature di ogni angolo del mondo, l’eco dei luoghi si è rivelato, come un accompagnatore silenzioso in mille sfaccettature e non vi è stato luogo in cui io non l’abbia percepito, come nel mezzo di un confusionario suk, nel nulla di un deserto, nel suono allegro dei Mariachi, nella spiritualità di un rito indiano o nelle trame di un tappeto. L’ho portato con me e  riposto come si fa per le cose preziose nello scrigno dei miei indelebili ricordi. Il più bel dono del mio eterno viaggiare.

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