sfonda il labirinto
Non è semplice trovare parole, di conforto o di sconforto che siano.
Non è semplice riuscire a parlare dopo tutto quello che ci è successo a livello storico, recente o lontano che sia.
Non è semplice riuscire a digerire questi quattro bocconi amari dopo la grande delusione dall’anno scorso: dopo una fumata nera che fa ancora così tanto male.
Non è semplice provare a dire a tutti voi che non bisogna demoralizzarsi, perché la prima ad essere demoralizzata è proprio quella che scrive.
Non è semplice parlare per Di Masi, che più di tutti ha influenza e potere, figuriamoci se è facile parlare per chi come noi non può proprio farci niente: solo guardare, sbuffare e pensare.
Il problema è che non è semplice nemmeno pensare. Perché, fondamentalmente, a cosa pensiamo? Sono passate solo quattro giornate, ma quanto è determinante alla resa dei conti, il peso di queste quattro partite? Quando può nuocere al nostro futuro questo passo falso lungo più di un mese? Se dovesse compromettere anche questa stagione? Siamo sicuri che quattro giornate siano davvero SOLO quattro giornate?E la speranza? Dobbiamo sperare che l’Alessandria sia ancora in fase di studio e di organizzazione per sollevarci e sentirci meno appesantiti da questo macigno di inizio campionato? Dobbiamo davvero sperare ed aspettare? Perché aspettiamo da quarant’anni… E chi non aspetta da così tanto tempo per fattori che possono variare dall’età alla lontananza sente comunque la pressione di questi anni passati nell’oblio di un calcio che apriva le porte a squadre che non valgono nemmeno una sola lettera del nostro nome. Anni che possono essere tanti o che possono essere pochi, ma che si sono rivelati e si stanno rivelando di una sfortuna, di una delusione e di un’illusione allucinanti.
Ecco, visto? Non è semplice nemmeno pensare. Forse non dovremmo proprio fare niente. Semplicemente vivere l’ennesima settimana lunga e depressa in attesa della riscossa. A patto che esista una riscossa. Se non dovesse esistere che problema c’è? Vivremo in attesa dell’ennesima delusione, dell’ennesima illusione. Non ci siamo forse abituati?
Il nostro nome, ora, sopravvive tra le vecchie concorrenti solo ed esclusivamente per un fattore: il nostro calore.
Siamo sulla bocca degli altri perché sventiamo furti di sciarpe dalle lapidi commemorative di ragazzi che condividevano il nostro amore e che per quello stesso amore ci hanno rimesso la vita.
C’è una frase che dice :” se giocassi in cielo morirei per tifarti”. Ecco, sì, più o meno per tutti noi funziona così.
Siamo sulla bocca degli altri perché l’anno scorso siamo andati in mille a Novara, in mille a Pavia; perché cinque anni fa nonostante lo scandalo che chi ha sprofondati avevamo così tanta grinta da far sentir il nostro ruggito in tutta italia. Siamo sempre stati forti e temibili, ma non per quello che eravamo sul campo, bensì per quello che eravamo FUORI dal campo. La forza dell’Alessandria, negli ultimi quarant’anni sono stati i tifosi. Vogliamo parlare e abbiamo tanto da dire. È questo che spaventa. Spaventa il nostro amore incondizionato e spaventa il nostro orgoglio smisurato, spaventano i nostri attributi, i nostri aggettivi: forse perché appena si entra al Moccagatta e si butta l’occhio in Nord la prima cosa che si dice è “nonostante tutto ancora qui”. E in quel nonostante tutto c’è davvero tutto.
C’è la fame di gloria e la sete di vittoria. C’è la voglia di arrampicarsi per quella ripida parete che ogni anni sembra sempre più scivolosa. C’è la paura. Paura di rimanere in questo vortice per sempre.
È proprio quel “sempre” che ci spaventa, sempre, così tanto.
Sono sempre lì in mezzo alla mia gente, ma la mia staticità non può dipendere dalla staticità del mio grande amore in questo invalicabile labirinto di campetti comunali.
Ora si sfonda, il labirinto. Ti prego Alessandria, sfondalo.