Giorgio Tinazzi: il ricordo di un GRANDE!
Se ci mettiamo a parlare di Giorgio Tinazzi possiamo farlo per intere giornate.
Quanti aneddoti, quanti racconti, quante battute, quante partite vissute e rivissute mille volte…
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Giorgio Tinazzi è stato un campione. Un campione con la palla in mezzo ai piedi, capace di “miracoli” addirittura impensabili per i comuni mortali. Faceva tutto ridendo, perché per lui era tutto così normale, così semplice. Nel calcio come nella vita. Una vita affrontata sempre col sorriso sulle labbra, capace di sdrammatizzare tutto, con una battuta in accento milanese (che mai ha completamente perso, nonostante una vita in terra mandrogna), con un’alzata di spalle, con la consapevolezza che…la vita è bella e va vissuta, fino in fondo. Proprio come ha fatto lui, aggrappato con le unghie e coi denti fino all’ultimo respiro, lasciando medici e dottori increduli di tanta resistenza, caparbietà, voglia di vivere.
Giorgio Tinazzi ha fatto della semplicità la propria ragione di vita. Lui che avrebbe potuto essere uno dei grandi del calcio, per doti tecniche e classe, ha preferito ritagliarsi i propri spazi lontano dalle folle, dai clamori, dalle vetrine mediatiche; una moglie e un figlio che adorava, l’affetto dei tifosi di ogni città in cui è stato protagonista, da Palermo a Udine, a Modena, ma anche nella sua Milano (sponda nerazzurra) e soprattutto in riva al Tanaro. E poi quel calcio semplice, fatto di passione ed entusiasmo, dei dilettanti, dove è stato per decenni un punto di riferimento imprescindibile. Lui e il Monferrato, il Monferrato e lui. In gialloblu ha fatto tutto: dal calciatore (in forma anonima, senza far apparire il proprio nome sui giornali, perché sennò donna Angela si sarebbe arrabbiata “perché hai quasi cinquant’anni, cosa giochi ancora a calcio!”), all’allenatore, fino a ricoprire la carica di presidente, perché nessuno come lui ha legato il proprio nome a quella società. Lì ci siamo incontrati, lì ha avuto il coraggio (l’incoscienza) di farmi entrare nel calcio dei “grandi”, lì è stato il primo a chiamarmi con quello che è poi divenuto il mio…marchio di fabbrica “Triso”, lì ho imparato a conoscerlo, ad apprezzarlo, a volergli bene. Perché era impossibile non volergli bene. In uno degli ultimi incontri gli dissi: “Mister, lei è stato il mio secondo papà, perché a pochi ho voluto bene come a lei…” Ora sono contento di averglielo detto, perché so che gli ha fatto piacere.
Sono sicuro che continuerà a fare calcio: se San Pietro non ha mai imparato a giocare a pallone, questa è la volta che impara!
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