Ferretti: “Il Filadelfia era la casa di tutti, accoglieva calciatori e tifosi”
Questa settimana la redazione di Hurrà Grigi ha incontrato Mirko Ferretti, centrocampista del Torino nelle stagioni dal 1961/62 al 1965/66.
Ferretti, quali sono i suoi ricordi da calciatore nel Torino?
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Sono stati anni importanti, una grande esperienza. Al Torino ci ho passato quasi quindici anni tra giocatore e responsabile del settore osservatori: quattro da calciatore, quattro da allenatore, quattro da capo degli osservatori, poi ancora osservatore e via discorrendo.
In Coppa Italia abbiamo perso due finali, una contro l’Atalanta e una contro la Roma. Avevamo fatto delle grandi partite, delle grandi prestazioni.
In campionato quando sono approdato al Torino era in una situazione critica, era nei bassifondi della classifica ma siamo riusciti a classificarci al settimo posto. Poi siamo arrivati al terzo posto dietro Inter e Milan: avevamo ottimi giocatori tra cui Vieri, Simoni, Fossati, Ferrini, Rosato: tutti giocatori che hanno fatto carriera. L’aria che si respirava all’epoca in città era ancora quella del Grande Torino e il Filadelfia era la grande casa di tutti noi, non solo calciatori ma anche tifosi ed era una casa che accoglieva veramente tutti.
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Invece da allenatore che ricordi ha?
Sono stato sei anni assieme a Gigi Radice, quattro anni al Torino, sono stati anni meravigliosi, anni in cui avevamo una grande squadra, lo scudetto che abbiamo vinto rimarrà per sempre scolpito in tutto il calcio italiano. In quegli anni abbiamo disputato la Coppa dei Campioni: ricordo la partita contro il Borussia Mönchengladbach in cui l’arbitro belga ci ha espulso diversi giocatori ed abbiamo terminato la sfida con Ciccio Graziani in porta che ha fatto miracoli ed abbiamo pareggiato 0-0 in Germania ma a Torino avevamo perso e quindi siamo stati eliminati. Il Toro non è mai stato fortunato nelle Coppe Europee.
Di Gigi Radice cosa ci può dire?
Un grande. Ho un ricordo indelebile dentro di me prima dell’uomo, dell’amico fraterno e poi dell’allenatore. Siamo stati legati negli anni, sono ancora in contatto con la famiglia, con i figli, la moglie. È stato un allenatore poco considerato dai media quando invece è stato uno dei primi a portare un certo modo di allenare, di giocare, una mentalità diversa. Era un allenatore di grande spessore. Avevamo una squadra che ci seguiva, che seguiva le indicazioni del suo mister e i risultati arrivavano. Oltretutto non esitava a esordire, a far giocare i giovani. L’allenatore in prima è il responsabile, se poi si ha un buon allenatore in seconda il lavoro è più agevole: quel filo che lega in maniera corretta. L’allenatore in seconda ha una funzione enorme perché raccoglie tutti gli umori e i malumori e diventa poi il confessore che può essere un punto di riferimento importante.
Che effetto le fa vedere giocare il Torino giocare una gara di Europa League ad Alessandria?
Mi fa piacere vedere il Torino ad Alessandria in una piazza che ha avuto la sua storia e che ha dato grandi calciatori. Il Presidente Cairo è della zona di Alessandria e quindi lo riempirà di orgoglio.
Se il Torino giocherà ad Alessandria la colpa è dei papaveri che comandano il calcio internazionale. Ci sono campionati fatti in un certo modo che arrivano ad essere sfalsati dal fair play economico. Da anni ci sono società che fanno delle cose che non vanno bene ma, spesso, si lascia correre chiudendo un occhio e questo non va bene.
Non è colpa del Torino ma è di chi comanda dall’alto: si sapeva che il Milan aveva delle difficoltà però si doveva intervenire prima.
Ferretti ha dei progetti in corso d’opera?
Certo: io e Alessandro Trisoglio stiamo lavorando alla realizzazione di un libro che parlerà di settore giovanile. Pagina dopo pagina si troveranno storie di tanti giovani che sono riusciti ad emergere e altri invece no. Storie curiose su come un ragazzo è arrivato e su chi invece non ce l’ha fatta. Storie di come si sono visti nascere i giocatori. Storie di società, quelle in cui tanti bambini cominciano a dare i primi calci al pallone, che sono oggi non aiutate né sotto l’aspetto economico, né formativo con gli istruttori che approdano con poca conoscenza anche perché non possono averne di più. Ci sono società professionistiche che fanno pagare i bambini per iscriversi alla scuole calcio ma questo accade anche nelle piccole periferie cittadine. Il libro uscirà nel corso dell’anno.
E poi mi dedico al calcio camminato: ad Alessandria abbiamo la squadra.