Tears for Fish
La partita è tirata. La Lettonia è inconcludente nel tiro da fuori, ma domina nel colorato grazie alla stazza dei suoi atleti, tutti significativamente più alti di Fish e soci. Ogni tiro da sotto sbagliato è un rimbalzo, e poi ancora un tiro ed un nuovo rimbalzo. Così per 5 o 6 volte di fila, fino a quando una maglia azzurra non riesce a strappare la palla con la determinazione di chi una medaglia mondiale non la desidera solamente, ma la “esige”. Salvati è inarrestabile. Le sue penetrazioni si susseguono e, siccome nel libro dello Sport è già tutto scritto, gli entra praticamente tutto, anche i tiri più “ignoranti”. Scardo intanto decide di provare da 3 … secondo ferro e palla ai lettoni. Non si perde d’animo. Altro bomba e … altro ferro. Il terzo tentativo sarà quello buono. Palleggio, arresto e tiro praticamente da metà campo … “air ball” e punti a referto zero: ci sono gli estremi per parlare di accanimento terapeutico, ma oggi la parola “sconfitta” non la vogliamo nemmeno sentire pronunciare. Intanto Coach Schieppati resta solo in panchina: Violante è costretto al forfait e Tiboldo lo assiste. Nessun problema per lui, è abituato a gestire la squadra in autonomia. Si passa alla 2-3. Area congestionata e lotta senza quartiere a rimbalzo. “Not in my house” grida Stanchi in faccia agli ex sovietici che lo guardano un po’ perplessi. Gigliotti si danna l’anima e constata personalmente quanto duro possa essere il parquet del Galen Center, ma una palla rubata conta più di un’escoriazione al gomito. Lorandi “scaviglia” e si aggiunge alla lunga lista degli infortunati. Mentre il medico lo mette in ghiaccio lui non ha occhi che per i compagni (il tempo per un rapido sguardo all’infermierina bionda però riesce a trovarlo). “In ghiaccio” vorremmo mettere la partita, ma i lettoni, che un match contro l’Italia l’hanno già vinto nel girone, non ci stanno e provano a ricucire lo strappo. Una battaglia che vorremmo definire incruenta, ma verremmo meno al dovere di cronaca: gomitata involontaria e Salvati dona un po’ del suo sangue per la causa italica. Epistassi importante, ma “he has to play” ripete Petrozzi in un inglese incerto al medico che se la prende comoda: Michele ci serve in campo per il rush finale. E in tutto questo Fish, che la calma (special) olimpica non sa nemmeno dove stia di casa, corre come un forsennato e difende come se non ci fosse un domani (e in effetti un domani non c’è, è il “qui e ora” che conta). Trova anche il tempo per il lay- up vincente e, per fare buon peso, mette dentro il libero addizionale. 2 minuti alla sirena e tensione alle stelle. Il gradino basso del podio è a portata di mano, basta un ultimo sforzo e giocare in controllo. Il tempo scorre lentissimo, ci deve essere un problema al cronometro ufficiale. Ma ormai la Lettonia ha ceduto e si accontenta della medaglia di legno. Gli Azzurri esplodono e con loro i ragazzi del Team Unificato che non hanno mai smesso di sostenerli. “Prima, in campo, stavo per mettermi a piangere” dice Fish all’amico che lo intervista e poi chiede rassicurazioni: “un Bronzo mondiale è buono?”. Lo è, Emi, capperi se lo è. E allora si scioglie, comincia a piangere, fa un gesto con la mano quasi a volersi scusare, si gira e di corsa raggiunge i compagni allontanandosi con quei pantaloncini troppo lunghi dal tipo che, dietro la telecamera, un piantino se lo fa anche lui …
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